La condizione del figlio d’arte, è noto, spesso non è invidiabile. Soprattutto quando le figure paterne, come nel caso di Markus Stockhausen, figlio del celebre compositore Karlheinz, alla storia della propria disciplina hanno dato un contributo fondamentale. Quando, poi, si intendono calcare le stesse orme del padre, ebbene le cose si fanno ancora più complicate. Eppure, Markus Stockhausen è riuscito ad aprirsi una strada tutta sua, pur non dimenticando l’esperienza dell’illustre genitore.
«Mio padre Karlheinz Stockhausen è stato probabilmente l’insegnante più influente nel corso degli anni. Ho lavorato a stretto contatto con lui per 25 anni», racconta. «Subito dopo il liceo, mio padre mi ha accettato nel suo ensemble per eseguire il suo lavoro Sirius a Washington, Venezia, Parigi, Osaka. Successivamente, nel 1981, mi sono esibito nella sua opera Donnerstag aus licht alla Scala di Milano, e alla Royal Opera House Covent Garden di Londra, solo per citare alcuni luoghi importanti. Da quando avevo 17 anni mi sono esibito in tutta la Germania con il mio primo quintetto jazz chiamato Key, oltre a molti altri progetti, e ho anche suonato musica classica. Non ho mai avuto un lavoro fisso da nessuna parte, ma una ricca carriera in tournée in tutto il mondo, come musicista jazz, solista classico con orchestre e come membro dell’ensemble di mio padre».
Freddie Hubbard, Miles Davis, Manfred Schoof, Palle Mikkelborg, Kenny Wheeler erano i trombettisti amati dal giovane Stockhausen, «ma anche il fantastico flautista indiano Hariprasad Chaurasia» che lo ha avvicinato alla musica etnica e che gli ha facilitato l’incontro con Alireza Mortazavi, uno dei più interessanti e rinomati compositori del Medio Oriente, in particolare specializzato nello studio del santur, il salterio persiano, strumento che ha circa 800 anni, suonato con due bacchette che percuotono le corde di metallo.
«Nel 2013 è stata una signora iraniana che abita nella stessa città in cui vive Markus a invitarci a suonare insieme», racconta Mortazavi. «Anche perché, proprio in quel momento, i nostri percorsi coincidevano: entrambi eravamo interessati all’improvvisazione, alla musica intuitiva. Abbiamo fatto questo concerto senza alcuna prova e da lì sono nate una serie di cose direi straordinarie». Fra queste l’album Hamdelaneh – Intimate dialogues (“con lo stesso cuore” in iraniano), «un dialogo continuamente duale, figlio di due mondi che si compenetrano nel modo più profondo possibile, in un esperimento che ci conferma l’esistenza di una “fratellanza universale” che riesce a superare ogni barriera politica, religiosa ed etnica», commenta Stockhausen.
È un viaggio tra jazz e minimalismo, tra avanguardia e improvvisazione, tra modernità e antichità, tra la tromba e il santur, tra Occidente e Oriente, un dialogo intimo tra due mondi musicali e culturali, ma soprattutto tra due cuori, quello che si svolgerà il 19 giugno al Chiostro di Ponente dell’ex Monastero dei Benedettini come preludio al Marranzano World Fest 2022. La tromba e il flicorno di Markus Stockhausen introdurranno il tema degli ottoni, filo conduttore della XIII edizione della manifestazione ideata e diretta dal musicista ed etnomusicologo catanese Luca Recupero con l’Associazione MoMu Mondo di Musica, curata e prodotta dall’Associazione Musicale Etnea, sostenuta dal Ministero dei Beni Culturali e dalla Regione Siciliana.